Sicuramente molti di voi conoscono già la storia. No, non mi riferisco alla trama, bensì alla storia vera di un ragazzo della minuscola cittadina di Elmore City nel Sud dell’Oklaoma, che nel 1980 dispose una campagna per ottenere il permesso dalle autorità di organizzare il ballo di fine anno. Lo scopo era mettere fine ad una severa quanto obsoleta legge in vigore dal 1898, che vietava il ballo nei luoghi pubblici e alla fine ci riuscì. In Footloose il divieto è più recente e il pretesto è la morte di due ragazzi in un incidente stradale dopo una serata di eccessi. Uno dei due era il figlio del reverendo. Il protagonista Ren McCormack, interpretato da un giovanissimo Kevin Bacon, da Boston si trova catapultato in questa piccola realtà, dove la musica rock, il ballo e persino alcuni libri ritenuti moralmente compromettenti, sono vietati. Il suo antagonista, il reverendo Shaw Moore, si batte con fervore per portare la sua gente dritta in paradiso e volendo anche più in alto, come gli fa notare ad un certo punto persino sua moglie. La morale religiosa ottiene pieno consenso dagli adulti della comunità e assoluto dissenso da parte dei loro figli. Ad opporsi con decisione e sprezzo delle regole, è soprattutto Ariel Moore, figlia del reverendo, simbolo di una ribellione fatta di rabbia, di rifiuto e voglia di evadere da quel provincialismo soffocante. A mio avviso è uno dei personaggi più interessanti del film, proprio per la dicotomia tra ciò che appare e ciò che si nasconde dietro la maschera. Mi spiego. Ariel è decisa, sicura della sua fisicità, provocatrice e consapevole del consenso che suscita tra i suoi pari, sia tra i ragazzi che tra le ragazze, ma al di là dell’ostentazione, si nasconde il travaglio di un’adolescente che affronta come può, la perdita di un proprio caro. Ariel più di tutti, mette in discussione i precetti sostenuti dalla figura paterna, che passa dall’essere eroe, all’incarnazione dell’antieroe. Lo sguardo di Ariel è cambiato, non è più quello assorto di una bambina che ama incondizionatamente il proprio padre, ma quello critico di una giovane donna che inizia a costruirsi un personale punto di vista sul mondo. Dunque, come potremmo definire Footloose? Senza dubbio un film sulla danza, un omaggio alla musica rock degli anni Ottanta, la fortuna di future icone del cinema e della musica, da Kevin Bacon, a Sarah Jessica Parker, a Kenny Loggins autore della colonna sonora e ciascuna di queste affermazioni è quanto meno evidente. Ma cosa racconta davvero Footloose se non lo scontro topico tra due generazioni? Ci sono degli adulti che dettano le regole nel tentativo di proteggere il più a lungo possibile i propri figli e degli adolescenti che lottano contro le medesime, in cerca delle proprie. La musica rock e il ballo si configurano come metafora di quell’energia e voglia di vivere col piede sull’acceleratore e sentire il vento sulla faccia dimenticandosi le afflizioni e lasciandosi andare alla spensieratezza. La scena finale della festa sulle note di Footloose è l’emblema di quest’energia e, a distanza di trentaquattro anni, sfido chiunque a stare fermo riascoltando questo brano. Il finale, nello stile happy end USA, mette tutti d’accordo: Ren riesce ad organizzare il ballo di fine anno e ad andarci con Ariel che nel frattempo è diventata la sua ragazza, il reverendo si riconcilia con sua figlia dopo una serie di litigi e incomprensioni, e finalmente anche gli adulti si arrendono al fatto che le regole per quanto necessarie, non sono assolute e devono lasciare il posto alla fiducia, oltre a constatare che un po’ di sano divertimento non ha mai fatto male a nessuno. Una storia come tante quella di Footloose, destinata a lasciare un’impronta indelebile per le generazioni a venire, tanto da essere riproposta in un remake cinematografico nel 2011 e più volte a teatro, anche in Italia qualche anno fa, dalla Stage Entertainement al Teatro Nazionale di Milano. Vuoi per la musica, vuoi per le coreografie, per i personaggi in cui è facile identificarsi e per alcune scene come quella finale o quella del monologo di Ren in Chiesa, Footloose resta un evergreen tra i musical anni Ottanta e non solo.
A proposito di scene senza tempo, vi lascio proprio con le parole del protagonista, e chissà che a qualcuno non venga voglia di fare un tuffo nel passato e riguardare il film…
“C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo… un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per soffrire e c’è un tempo per danzare. C’era un tempo per quella legge, ma ora non c’è più. Questo è il nostro tempo per danzare. Questo è il nostro tempo per festeggiare la vita. così è stato dal principio, così è stato sempre e così deve essere adesso”. E allora… LET’S DANCE!
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